Graziella Reggio. Sono nata nel 1956 a Milano, dove abito, e ho iniziato molto giovane a disegnare e fotografare. Nei primi anni Ottanta ho frequentato la Civica Scuola di Cinema di Milano e poi, spinta dal desiderio di esplorare mondi diversi dall’Europa, ho vissuto per parecchi mesi in Messico. Nel 1985 mi sono trasferita a New York, dove ho studiato pittura all’Art Student League con Bruce Dorfman e Richard Pousette-Dart. In quegli anni ho iniziato a esporre. Tra le altre mostre: Cork Gallery, Lincoln Center, New York, Chuck Levitan Gallery, New York: Galerie Agnès Stacke, Auvers-sur-Oise. Tornata in Italia nei primi anni Novanta, mi sono stabilita a Venezia, dove ho cominciato a dedicarmi alla scultura con materiali poveri. Risalgono a quegli anni le prime personali e le mostre organizzate da curatori. Tra le altre: Galleria Totem – Il Canale, Venezia; Museo Nazionale di Villa Pisani, Stra; Galleria Skuc, Lubiana; Galleria San Fedele, Milano; Palazzo Comunale, Spello. Sempre in quel periodo ho conosciuto la storica dell’arte e critica Anna Cochetti, che segue tuttora il mio lavoro. Nel 1997 mi sono stabilita a Milano e nel 1999 ho ottenuto il Pollock-Krasner Foundation Grant. A partire dal 2000 ho riscoperto la passione per la fotografia, senza abbandonare il disegno e la scultura, e ho iniziato a collaborare con altri artisti, oltre a esporre in mostre personali e realizzare installazioni site-specific. Tra gli altri spazi: Palazzo Balleani, Jesi; O’ Artoteca, Milano; Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo Collicola, Spoleto; Madonna del Pozzo, Spoleto; biblioteca storica S.I.A.M., Milano; Storie Contemporanee, Roma.
Nella serie FIUMI seguo idealmente alcuni corsi d’acqua, dalla montagna alla pianura alla città al mare, visti in relazione con la presenza umana. Fiumi e torrenti, indispensabili per la vita, attraversano paesaggi naturali e centri urbani, li conformano e ne sono conformati. Una trasformazione reciproca e costante. Scatto le fotografie in giornate qualunque, senza cercare emergenze o fenomeni eccezionali, eppure trovo in continuazione segnali di una potenziale rottura dell’equilibrio. Ho scelto la pellicola in bianco e nero, di medio formato, perché mi sembra attribuire all’immagine una qualità contemplativa e atemporale.