“Il Mediterraneo può diventare il cantiere della cooperazione fra l’Europa e l’Africa per dare forza allo sviluppo”. Intervista a Nicola Saldutti di Carlo Di Carluccio

Ambiente, economia, clima, mare ma anche energia, migrazioni, nuove forme di cooperazione per individuare modalità alternative di sviluppo. Sono solo alcuni dei temi di “Mediterraneo NEXT”, appuntamento realizzato dall’associazione Lo Cunto, in programma sabato 7 ottobre alle ore 12 al Palazzo Reale nell’ambito del Campania Libri Festival organizzato dalla Fondazione Campania dei Festival. Interverranno esperti di settore come Maria Cristina Gambi già ricercatrice presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Massimo Deandreis  direttore generale di SRM, centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo ed esperto di economia del Mezzogiorno, Ugo Leone già docente di politica dell’ambiente all’Università Federico II, Alessio Scanziani ingegnere energetico della IEA (International Energy Agency), Pietro De Lellis, docente di sistemi dinamici al dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie dell’Informazione dell’Università Federico II e ancora la scrittrice Antonella del Giudice e per la cultura visiva Francesca Marra direttore del Greenze Arsenali Fotografici Verona e Barbara Jodice responsabile dell’archivio Mimmo Jodice. A conclusione dell’incontro il video “Mediterraneo. Il mare del futuro”, selezionato dal “Tools for After Cinema Festival” di Melbourne in Australia, sarà proiettato.

Nicola Saldutti, caporedattore Economia del Corriere della Sera, insieme alla giornalista e curatrice Patrizia Varone, modererà Mediterraneo Next. Come è nata l’idea di un dialogo fra studiosi su argomenti così variegati?

Il comun denominatore è il Mar Mediterraneo che non è solo un luogo di scambio di merci, oggi messo a dura prova dalla crisi ambientale, è un crocevia geopolitico dove si affacciano 28 Paesi, anche molto diversi fra loro, è un luogo di sviluppo per l’economia italiana e non solo. L’idea nasce proprio dall’intento di dar vita ad un dialogo che possa attivare e individuare, insieme, nuove forme di sviluppo. Il Mediterraneo è un piccolo mare, rappresenta solo lo 0,8% della superfice acquea mondiale, ma è un mare ancora ricco dove si produce il 20% del PIL marittimo mondiale.

A che punto è invece la ricchezza culturale del Mediterraneo, considerato “culla delle civiltà”?

Il Mediterraneo di oggi è lo specchio dell’Europa. Per conservare, o meglio, per ritrovare la sua centralità dovrebbe diventare un mare più aperto, più “condiviso”. I Paesi europei e quelli africani dovrebbero cercare nuove forme di cooperazione. La chiusura non fa bene né al mare né alla terraferma.

Altra questione è la relazione tra cambiamenti climatici e flussi migratori.     

Quello che sta succedendo è un fatto epocale. Le persone che attraversano il deserto a piedi e poi il Mediterraneo sui barconi cercano una vita migliore e non si fermeranno facilmente. La sfida è tendere ad una crescita più distribuita, a nuove forme di cooperazione. I flussi potrebbero ad esempio essere la chiave per affrontare il calo demografico in Europa e in Italia, una trasformazione che va affrontata. Il punto è però come regolare questi flussi?

Intanto viviamo anche un altro cambiamento, quello climatico.

Sì, ormai nessuno può più negare che la temperatura aumenta, anche in mare. Il Mediterraneo è malato e va curato quanto prima. E riguarda tutti i Paesi che si affacciano sul mare tra le terre. Tra l’altro proprio su clima e ambiente può essere attivata una nuova forma di collaborazione. La questione climatica potrebbe diventare il banco di prova per nuovi accordi, sulla navigazione, sulle nuove forme di energia, anche per ridurre i costi degli investimenti e il gap fra i Paesi del Nord Africa e quelli europei. Occorre cercare il dialogo. Credo che per dar forza alla transizione, il Mediterraneo debba diventare il cantiere della cooperazione euro-africana.