Les rencontres de la photographie 2023 – Arles, France. Un reportage di Patrizia Varone

I numeri parlano chiaro. Ad Arles les Rencontres de la Photographie 2023 hanno rilevato presenze record. Merito del fascino e del richiamo che da anni, l’appuntamento internazionale annuale ha sul mondo della fotografia, o del contesto e dei contenuti? L’offerta di esposizioni, incontri, workshop, libri e letture portfolio, ha un valore di fatto? Proviamo a dare una visione di ciò che è stata l’edizione post-pandemica dei Rencontres attraverso i nostri occhi per dare, a chi legge, l’opportunità di farsi un’idea.

Partiamo dal contesto. Arles ha di certo il pregio di essere una cittadina del sud della Francia con una storia ed elementi architettonici che rimandano alle radici romane, alla pittura francese tra la metà e la fine dell’800, alla sua cultura commerciale, militare, contadina e, negli ultimi decenni, di migrazioni, alla vicinanza con il Rodano, ad una luce, un cielo e colori naturali spettacolari. Elementi che le donano attrattiva, la rendono accogliente e le conferiscono un’atmosfera fuori dal tempo, sospesa. “Il y a de l’ambience” direbbero i francesi. E questa è una componente essenziale della fascinazione che provoca Arles, capace di catturare con curiosità e giocare un ruolo sulla predisposizione a recarsi nella cittadina del sud della Francia. Ma non è sufficiente a indurre una così ampia massa di persone, da tutto il mondo, a spostarsi verso i Rencontres de la Photographie.

L’appuntamento internazionale annuale dal 1970, attraverso esposizioni diffuse in diversi luoghi del patrimonio culturale, attraverso incontri con autori, direttori artistici, curatori ed editori, letture portfolio, presentazione di libri fotografici, contribuisce a trasmettere il patrimonio fotografico mondiale, a proporre l’esperienza della cultura dell’immagine, a rinnovare l’uso delle nuove tecnologie e fare attenzione ai cambiamenti in corso. Un evento annuale, dunque, che, grazie all’organizzazione, invade la cittadina, coinvolge gli abitanti e i partecipanti, rendendo Arles capitale mondiale della fotografia e offrendo materia e materiale da conoscere, su cui dialogare e, per tanti, un’occasione per mostrare i propri lavori ad una platea internazionale.

Entriamo nello specifico delle esposizioni. L’edizione 2023 è dedicata all’impatto dei cambiamenti climatici sulla nostra quotidianità. Nella serie di esposizioni dedicate a questa riflessione, ci si concentra sulla mappatura del territorio di Arles e del suo ecosistema al Ground Control, l’ex capannone industriale della SNCF. Tra i vari autori esposti, il soggetto Camargue, ed in particolare il delta del Rodano, è il centro del lavoro proposto da Yohanne Lamoulère che invita a intraprendere un viaggio di conoscenza muovendosi tra magia e realismo.

Si passa poi a racconti come la diaspora iraniana sulla costa occidentale americana di Hannah Darabi e alla New York di Saul Leiter. Pittore e fotografo nato nel 1923 a Pittsburgh negli Stati Uniti, morto nel 2013 nella Grande Mela, Saul Leiter ha fatto della rappresentazione di New York per frammenti di immagini che rivelano profondità impalpabili della realtà, la rappresentazione stessa del suo mondo. La retrospettiva dedicata a questo grande artista, per cui la Grande Mela è paradigma della modernità, e per sessant’anni luogo delle sue piccole scoperte estetiche e invenzioni ottiche, si sviluppa nelle ampie sale del Palais de l’Archevèché. Immagini e dipinti, spesso inediti, si alternano in un percorso che meraviglia nel guardare il nero denso e “vivant” dei suoi bianco/neri e i colori stagliati in alcuni punti delle immagini a colori. Le sue fotografie sono frutto di un equilibrio sottile, che svela l’invisibile, che fa della precisione un metodo e dell’imperfezione un anelito. Le immagini di uno dei più affascinanti fotografi-artisti del XX secolo, ambidestro, contengono enigmi e persistono intatte al tempo, universali, senza limite.

Al Cloître Saint-Trophime, poco più in là, si snoda “La Pointe Courte. Des photographies au film” di Agnes Varda, un’ampia esposizione della elaborazione del primo film della fotografa regista sviluppato a Sète, città alla quale Varda era particolarmente legata per aver trascorso la sua adolescenza, da rifugiata, durante la seconda guerra mondiale. Fin dal 1947 con le sue Rolleiflex immortalò barche a vela, banchine, i giochi sui canali della cittadina del Sud della Francia fino ai dormienti e pescatori del Pointe Courte, quartiere popolare dove nel 1954 ha girato il sul primo film. Le vedute di Sète diventano così la visione di ciò che sarà prima di sviluppare il vero e proprio girato. Nel percorso espositivo si vede come le foto partecipano alla concezione del film, alla realizzazione delle scene, alle atmosfere. Sono scatti statici che le hanno permesso di realizzare un film radicale, originale, audace alternando uno stile grafico e al contempo realistico. La Pointe Courte mostra l’indipendenza artistica di Agnes Varda che rompe con i codici del cinema dell’epoca.

Søsterskap SORELLANZA mette in evidenza il ruolo cruciale svolto da diverse generazioni di fotografi dei paesi nordici nell’offrire uno sguardo femminista nei vari ambiti dello stato sociale. Nell’Église Sainte-Anne fotografi attivi dagli anni ’80 provenienti da Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia studiano il contesto socio-politico del cosiddetto “modello nordico”. Questo sistema di stato sociale ha contribuito a migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione ed è caratterizzato da un settore pubblico che fornisce ai propri cittadini sicurezza e servizi sociali, tra cui assistenza all’infanzia ed istruzione. I valori alla base del “modello nordico” sono l’apertura, la tolleranza e la convinzione che tutti i cittadini sono uguali. Vita familiare, lavoro, etnia, colonialismo e distribuzione di genere dei compiti sono alcuni dei temi affrontati da Søsterskap, che non nasconde il lato oscuro del modello, tra cui l’esclusione e la crescita economica costante che tende ad accelerare la crisi ecologica globale. Diciotto i fotografi in mostra tra cui Emma Sarpaniemi che firma il manifesto del festival con il suo autoritratto.

Alla Tour della Fondation Luma si trova Constellation di Diane Arbus. Girovagare tra le strade di New York ed incappare, per caso o per istinto, in un volto, un dettaglio, un atteggiamento, una singolarità ed essere lì a coglierla inquadrata, precisa, coerente. Diane Arbus si è soffermata su tutto questo e ha intravisto, prima ancora di scattare, il potenziale fotografico dei soggetti catturati. L’esposizione raccoglie 454 prove di stampa, tra cui alcune inedite, realizzate da Neil Selkirk, uno dei suoi studenti e consulente tecnico, unico autorizzato a stampare i suoi negativi dalla morte dell’autrice. Caos, caso e ricerca sono le spinte di Diane Arbus verso la realizzazione fotografica, la creazione di quelle immagini che hanno mosso gli organizzatori a modellare un’installazione sbalorditiva ed immersiva dove ciascuno può creare la propria esperienza passeggiando, girando, attraversando e percorrendo, in piccolo, quel che Arbus agiva nelle sue lunghe ore di cammino governata dall’ansia di catturare volti, persone, dettagli semplicemente mossa dal caso e dal fiuto.

I Rencontres de la photographie sono anche molte, moltissime esposizioni non ufficiali, gli out. Tra questi, la Fondation Manuel Rivera-Ortiz incoraggia la nuova generazione di fotografi a percorrere il mondo con la propria macchina fotografica e immortalare un’umanità in movimento. La Fondation Manuel Rivera-Ortiz sostiene la fotografia documentaria che mette in evidenza la società, la cultura, l’ecologia, la politica, con la volontà di dar voce a chi non ha voce e offrire un’opportunità ai più vulnerabili e svantaggiati in tutte le comunità del mondo. Quest’anno, nelle sue installazioni avvolgenti su tre piani di piccole stanze con lavori fotografici in esposizione, sono i cambiamenti climatici ad essere sotto i riflettori. “Amazzonia, vita e morte nella foresta” di Tommaso Protti è tra questi, così come “Vivant” di Isabelle Chapuis, un lavoro fotografico umanistico che celebra la dimensione sacra del corpo per accompagnare, tutti, a donarsi uno sguardo benevolo e mutare le sue rappresentazioni. Isabelle Chapuis ne ha realizzato un libro edito da Escourbiac con 80 immagini e 15 testimonianze, la cui condivisione contribuisce alla portata riparatrice insita nell’approccio dell’autrice.