Marino Niola: “La civiltà Mediterranea è nata a tavola. E il menù lo ha scritto Dio”.
Intervista con l’antropologo che ha dedicato l’ultimo saggio: “Mangiare come Dio comanda” al rapporto con il cibo di Carlo Di Carluccio
Diete, libri, programmi televisivi, chef stellati consultati come maitre à penser in ogni ambito. Il rapporto con il cibo ci appare mutato e complesso rispetto a pochi decenni fa. Frutto di una storia millenaria, legato a riti e simboli ancestrali, e profondamente radicato nella quotidianità, il mangiare ha un enorme valore culturale. A svelarcelo è Marino Niola, saggista, giornalista, docente universitario. “Mangiare come Dio comanda” (Einaudi) è la sua ultima pubblicazione, elaborata a quattro mani con l’antropologa Elisabetta Moro, compagna di vita e di studi. Il mangiare di tutte le società umane è stato influenzato dalla religione, “un menù sottotraccia” che indica cosa possiamo mangiare, in che quantità e cosa è vietato. Le nostre abitudini alimentari, nonostante non ce ne sia consapevolezza, sono dettate dalle religioni e quindi dalle divinità.
In che modo?
Il venerdì i cristiani non mangiano carne, ma pesce. E per molti secoli si è mangiato il baccalà perché il Concilio di Trento a metà ‘500 aveva fissato la regola del “magro” e i veneziani, in quel periodo, avevano scoperto che il baccalà era un pesce gustoso ed economico. A Napoli e in tutto il Sud Italia, il 24 dicembre, Vigilia di Natale, si mangia pesce, per il tabù del magro, ma soprattutto si mangia tantissimo. Pratica del cristianesimo derivata da un banchetto sacrificale molto più antico chiamato “orgia” durante il quale si facevano le “devozioni”. Ancora oggi, infatti, si dice che alla Vigilia di Natale si mangia “per devozione” e si è costretti a farlo, devi comunque mangiare, per devozione appunto, per perpetrare un patto comunitario indissolubile.
Stiamo toccando l’area del Mediterraneo. C’è relazione tra il mare nostro e il mangiare?
Il cibo è stato un elemento fondante, un vero collante per la civiltà del Mediterraneo, nata attraverso gli scambi fra popoli diversi. Il cibo è stato il linguaggio attraverso cui questi popoli hanno affermato la loro identità comune e hanno rimarcato le differenze con gli altri popoli. Necessita comunque specificare le origini dei cibi mediterranei. A Napoli crediamo che la “scapece” sia una nostra invenzione. In realtà è una preparazione che arriva dalla lontana Persia attraverso gli arabi, dominatori in Spagna. Anche il ragù, di cui Napoli è orgogliosa, nasce in Francia e attiene alla preparazione della carne, ma anche del pesce e delle verdure. Nel dizionario Larousse sono indicati ben 47 tipi di ragù diversi. A Napoli i “Monsù”, i grandi chef francesi che lavoravano presso le famiglie nobili napoletane, portano il ragù nel ‘700. Anche il babà al rhum fu inventato nel ‘700 da Nicolas Stohrer, un pasticciere polacco che lavorava a Parigi e che amava il personaggio di Ali Babà delle Mille e una notte. Nella capitale francese c’è ancora una pasticceria che porta il suo nome. Come ben si intende, tutta la cucina del Mediterraneo è frutto di scambi culturali secolari. Anche se non parlerei di cucina ma di cucine del Mediterraneo perché, pur avendo tutte in comune i tre elementi del vino dell’olio e dei cereali, sono diverse.
Elementi della dieta Mediterranea, rinomata in tutto il mondo.
Il primo ad utilizzare il termine dieta mediterranea fu un americano, Ancel Keys nel 1975. Keys, insieme a sua moglie Margareth, per conto del governo americano, durante la Seconda Guerra Mondiale aveva condotto uno studio sull’alimentazione dei popoli del Mediterraneo ed era arrivato ad una conclusione che fece scalpore e che presentò alla FAO nel 1951: per stare bene bisognava mangiare come gli italiani poveri che non consumavano carne e si cibavano principalmente di pane. A differenza degli stati Uniti dove il consumo di carne rossa era molto abbondante e il 50% degli uomini fa i 38 e i 50 anni, soffriva di malattie cardio-vascolari. Lo studio fu molto criticato perché non suffragato da dati. Ma un professore dell’Università Federico II, Gino Bergami, confermò che negli ospedali napoletani erano del tutto assenti le malattie cardiovascolari. I coniugi Keys vennero a verificare di persona. Le cartelle cliniche furono loro tradotte in inglese da un altro medico napoletano, Mario Mancini, diventato poi un luminare, e negli anni ’70 i Keys pubblicarono appunto lo studio scientifico da cui è nata la dieta Mediterranea.
Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach già alla fine dell’800 sosteneva che “noi siamo quello che mangiamo”, cioè che il cibo influenza la nostra salute, la nostra personalità e la società nel suo complesso.
Verissimo. Aggiungo che siamo quello che mangiamo ma anche quello che non mangiamo. Dalle nostre diete stiamo eliminando il sale, lo zucchero, le farine, il burro, il pane che consideriamo dei serial killer. I nostri genitori, i nostri nonni mangiavano questi cibi quando li trovavano, non solo perché avevano fame ma perché, dopo la tragedia della guerra, avevano fame di vita. Oggi la vita ci fa sempre più paura e così eliminiamo il cibo sinonimo di vitalità, di gioia. Non è un buon segno per la salute mentale della società.
Marino Niola è un antropologo della contemporaneità. Insegna Antropologia dei simboli all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Insegna anche Storia della gastronomia mediterranea all’Università di Napoli Federico II. È co-direttore del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea e del MedEatResearch (Centro di Ricerche Sociali sulla Dieta Mediterranea), presso il Suor Orsola Benincasa. È editorialista del quotidiano La Repubblica. Sul settimanale «Il Venerdì» cura la rubrica «Miti d’oggi». Nel mensile Gusto cura la rubrica «Totem e ragù». Collabora con il settimanale francese Le Nouvel Observateur. Tra i suoi libri: Miti d’oggi (Bompiani). Con Elisabetta Moro ha scritto Baciarsi (Einaudi), Il Presepe (Il Mulino) e di recente Mangiare come Dio comanda (Einaudi).