DALLE SIRENE A ENZO AVITABILE. LA MUSICA É IL DNA DEL MEDITERRANEO
Intervista al musicologo Michelangelo Iossa di Carlo Di Carluccio
Tremila anni fa Omero ha descritto il canto delle sirene di Ulisse. É un suono immaginario, leggendario, che però richiamava suoni e melodie reali che sono all’origine della cultura musicale del Mediterraneo. Tentare di ricomporre il pentagramma millenario del Mare Nostrum è importante perché, come scrive Elias Canetti: “La musica è vera storia vivente dell’umanità”. Trasmette emozioni, sentimenti, valori, spesso molto più delle parole. Nell’intraprendere questo viaggio tra i suoni del Mediterraneo ci facciamo guidare da un esperto. É Michelangelo Iossa, il musicologo e giornalista che alle melodie e ai suoi cantori, da Paul McCartney a Pino Daniele, ha dedicato diversi saggi di successo.
Michelangelo Iossa, i suoni nel Mediterraneo accompagnavano gli uomini già al tempo di Omero?
I suoni del Mediterraneo risalenti a tremila anni fa, erano i canti di uomini e donne in quanto il primo strumento utilizzato è stato la voce. Ma non era il suono più antico. Quasi 1.400 anni prima, gli Hurriti, un popolo coevo ai Sumeri, ha scritto dei testi di canzoni che sono stati ritrovati scolpiti su tavolette di argilla a Ugarit. Erano dedicati alla dea Nikkal, figlia della Luna e della Terra, protettrice dei campi e della fertilità. Gli Hurriti sono stati i primi cantautori della Storia perché hanno scritto anche la musica di questi testi, in caratteri cuneiformi a noi incomprensibili. Sono stati però i greci a rendere la musica un valore culturale.
Greci, un popolo determinante per la musica del Mediterraneo?
Per i Greci la musica era l’arte delle arti, l’arte suprema, quella che raccoglieva tutte le Muse. Non è un caso che Napoli, città fondata dai Greci, la città forse più musicale del Mediterraneo sia nata sulle spoglie di una sirena, Partenope. Prima dei greci la musica aveva un valore funzionale, per gli antichi egizi ad esempio serviva a magnificare le doti dei Faraoni. I greci invece la mettono alla base della loro cultura. I teatri greci, come quello di Taormina ad esempio, usavano veri ingegneri del suono. Prima di inaugurare un teatro si faceva cadere una monetina di metallo sul palco. Se il suono poteva essere ascoltato anche nell’ultima fila il teatro era stato costruito bene. Nel Teatro greco c’è sempre un elemento musicale, il coro, composto anche da donne, un aspetto, questo, molto moderno. I greci usavano la musica in tutte le occasioni, pubbliche e private: durante le elezioni, le feste, i matrimoni, i compleanni, i processi. Con i greci la musica è diventata un elemento culturale. Ma sono stati i romani a creare la vera identità musicale del Mediterraneo.
Dunque sono i Romani gli artefici del linguaggio musicale del Mediterraneo?
I greci sono stati più creativi, ma sono stati i romani a diffondere la musica del Mediterraneo in tutto il mondo allora conosciuto, dalla Britannia all’Estremo Oriente. Ed è così che la musica è diventato un elemento che unisce, quel linguaggio universale che ha fatto dialogare popoli e culture così diverse fra loro. Roma aveva un milione di abitanti, per quel tempo era una megalopoli che oggi conterebbe 50 milioni di abitanti. Nella capitale dell’Impero c’era la sintesi di tutti i suoni del mondo, dai tamburi africani, ai gong e gli strumenti a corda dell’Estremo Oriente, a quelli a fiato greci che i romani perfezionarono con le loro grandi capacità tecniche. Roma era come una spugna che assorbiva tutte le culture musicali del tempo. Durante l’Impero, le famiglie nobili e ricche alle loro feste chiamavano i “Subulones” cioè dei suonatori etruschi. Erano come i cantanti che si esibiscono oggi ai matrimoni del Sud per intenderci, ma i più famosi erano ambitissimi e venivano esibiti con vanto, come gli artisti italiani nel Rinascimento. Si facevano delle vere e proprie gare fra esibizioni musicali.
Dove ritroviamo oggi le antiche armonie del Mediterraneo?
L’eredità di questa storia millenaria è più ricca di quel che si crede. Pensiamo solo ad alcune melodie del Sud Italia che echeggiano da millenni ancora vivi nella nostra cultura. Mi riferisco alle musiche “tammurrianti”, le tarante, la pizzica salentina, la tarantella napoletana. Tecnicamente hanno tutte un ritmo ternario, culturalmente sono musiche rituali, accompagnavano riti di passaggio erotico-sessuale alla vita adulta, o di tipo religioso. Nella tradizione cristiana il ritmo ternario rievoca la trinità e i tre momenti principali della fede cristiana: la passione, la morte, la resurrezione.
Esiste una musica del Mediterraneo?
Certo, molti artisti di oggi hanno una chiara radice mediterranea comune. Gli esempi possono essere tanti, dal nostro Enzo Avitabile all’algerino Cheb Khaled. Quello che credo sia importante sottolineare è che la musica, dalle Sirene di Omero a Enzo Avitabile, è stata davvero il DNA culturale del Mare Mediterraneo, l’unico mare, che già dal suo nome, unisce le terre e non le divide.
Giornalista e scrittore, Michelangelo Iossa collabora da trent’anni con alcune delle più importanti testate italiane. Contributor del Corriere della Sera e di altre testate del gruppo-RCS, ha firmato reportage, special radiofonici e televisivi. Dal 1999 è docente presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e da alcuni anni cura un seguitissimo Laboratorio di Musicologia. Dal 2003 ad oggi ha firmato alcuni volumi dedicati a leggende della musica italiana e internazionale, da Paul McCartney a Pino Daniele, passando per Michael Jackson e Rino Gaetano, tra gli altri. Ha dedicato al fenomeno-Beatles sette differenti volumi, pubblicati tra il 2003 e il 2022. Nel 2004 ha ricevuto il Premio per l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il suo ultimo lavoro editoriale è “La Rai a Napoli. 1963 / 2023: sessant’anni di televisione all’ombra del Vesuvio” (Rogiosi Editore), che sarà presentato in anteprima nazionale il 16 aprile 2023 nell’ambito del Napoli Città Libro, il salone del libro che si terrà negli spazi della Stazione Marittima del capoluogo partenopeo.